Immaginazione ed esattezza

Macchine calcolatrici e computer quantistici, da Ada Byron a Anna Grassellino

Cecilia Collà Ruvolo
9 Gennaio 2023
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Ripercorriamo le storie di alcune scienziate, che hanno potuto e voluto perseguire il loro sogno di dare grandi e piccoli contributi alla storia della scienza: c’è ancora molta strada da fare perché seguire la propria passione non sia solo un privilegio e perché nessuno più dica che “non è un percorso adatto a una ragazza”.

Seconda tappa del percorso Scienziate. Storie di donne e di scienza

Solo la severa disciplina, una postura ritta, l’esattezza della matematica e un’educazione ai fatti reali avrebbero potuto salvare la piccola Ada Augusta, chiamata da tutti Ada, da una vita di scandali e di poesia come quella del padre Lord Byron. Così pensava la madre di Ada Byron, Anne Isabella Milbanke, baronessa di Wentworth, che il marito Lord Byron amava chiamare “principessa dei parallelogrammi” per via della sua grande passione per la matematica.

Poco dopo la nascita della bambina il matrimonio dei genitori andò in frantumi: Anne Isabella decise di abbandonare il marito che, senza opporsi alla separazione, partì dall’Inghilterra per il continente. Era il 1816, l’anno senza estati, caratterizzato da freddi eccezionali nel Nord America e dell’Europa a causa dell’eruzione del vulcano Tambora, in Indonesia, le cui polveri oscurarono in parte la luce solare provocando un insolito raffreddamento dell’emisfero Nord del Pianeta. E mentre Ada in Inghilterra muoveva i primi passi e scopriva le prime parole, il padre Lord Byron, isolatosi in una villa in Svizzera, con un gruppo di amici scrittori, ascoltava l’idea di una giovanissima Mary Shelley su una storia oltre i limiti umani, sul conflitto tra la macchina frutto della scienza più avanzata e l’essere umano, Frankenstein.

A soli 13 anni, qualche anno dopo, Ada una macchina provò a immaginarla e a progettarla, era un cavallo alato, che avrebbe volato a vapore. E nel giugno del 1833, quando Ada aveva 17 anni, nel salotto londinese dell’inventore e matematico Charles Babbage, un’altra macchina immaginaria si intrecciò alla vita di Ada: la “Macchina alle Differenze”.

A essere sinceri, la Macchina alle Differenze non era un congegno del tutto immaginario: sebbene Babbage non la portò mai a termine, ne esisteva un piccolo prototipo che faceva parte delle attrazioni del salotto dell’inventore, a orpello delle conversazioni tra esponenti della crème degli intellettuali inglesi e stranieri dell’epoca e le esibizioni della “Dama d’argento”, uno strumento meccanico che aveva attratto Babbage da bambino e che lui stesso descriveva così:

Quando ero un fanciullo, mia madre mi portò a diverse esibizioni di strumenti meccanici. Ricordo chiaramente una che ebbe luogo in Hanover Square, organizzata da un uomo che diceva di chiamarsi Merlin. […] Salimmo dunque in soffitta. Lì vidi due figure femminili d’argento, ciascuna alta all’incirca dodici pollici. Una di queste… era una splendida danseuse; teneva all’estremità dell’indice destro un uccello che agitava la coda, sbatteva le ali e apriva il becco. Le espressioni di questa dama erano incantevoli. Gli occhi mostravano un grande ingegno, ed erano irresistibili. […] Alla morte del suo creatore essa venne venduta […] e poi messa all’asta, e io… rincontrai l’oggetto che avevo tanto ammirato in passato… la riparai io stesso, e rimisi in funzione tutti i meccanismi di quella che divenne nota ai miei amici come “la Dama d’Argento”.

[Charles Babbage, autobiografia, Passages from the Life of a Philosopher, 1864]

Ma non fu l’automa danzante ad accendere la scintilla in Ada, bensì la Macchina alle Differenze: lo scopo di questa macchina era la produzione di tavole matematiche, per esempio quelle delle funzioni trigonometriche o logaritmiche, riducendo la computazione a una serie di somme e sottrazioni.

Il prototipo su scala ridotta che vide Ada a casa dell’inventore era stato finanziato dall’Impero britannico, molto interessato a strumenti che avrebbero potuto essere di supporto ai naviganti. Fu realizzato in una decina d’anni e costò più della locomotiva a vapore, mentre la macchina vera e propria, grande circa venti volte tanto, non fu mai realizzata per via di un diverbio con il governo di Sua Maestà, che decretò di lì a poco anche la fine dei finanziamenti da parte dell’Impero alle invenzioni di Babbage.

prototipo della macchina alle differenze

Macchina alle differenze progettata da Babbage e realizzata dal Science Museum di Londra nel 1992. Credit: Science Museum, London.

Già all’epoca dell’incontro con la giovane Ada, nel 1833, Babbage stava progettando una macchina ancora più straordinaria, e ancora più immaginaria, che chiamava “Macchina Analitica”: una macchina programmabile capace di risolvere qualunque equazione matematica. Le istruzioni e i dati dovevano essere forniti alla macchina grazie a schede perforate, come quelle utilizzate nei telai di Jacquard, strumenti che permisero per la prima volta di tessere disegni e motivi sui tessuti in modo automatico seguendo le istruzioni di un codice espresso su schede rigide perforate. Già nel 1833 Ada scriveva a sua madre: “Il meccanismo [dei telai di Jacquard] mi ricorda Babbage e la sua Gemma delle macchine”. Questo darà modo a Ada di scrivere la frase forse più conosciuta delle sue Note allo Sketch of the Analytical Engine: “La Macchina Analitica intesse figure algebriche come il telaio di Jacquard intesse fiori e foglie”.
La grande novità della Macchina Analitica era, però, il suo essere, come diceva Babbage, “una macchina che si morde la coda”: era, cioè, capace di ricordare ed eseguire operazioni che dipendevano dai risultati di operazioni precedenti, del tipo “se … allora”. Come nei moderni computer, la funzione del calcolo e quella della memoria erano separate ed esistevano tre tipi di schede perforate per guidare i calcoli: schede per i numeri e i dati (number card), schede per le operazioni da eseguire (operation card) e schede per indicare dove i numeri erano tenuti in memoria (variable card).

Dall’incontro con Babbage, nel giugno del 1833 nacque una profonda amicizia e intesa intellettuale: Ada Byron continuò a frequentare assiduamente il salotto di Charles Babbage, che condivise con lei tutti i dettagli della Macchina alle Differenze e della Macchina Analitica e si divertiva a porle indovinelli matematici nella fitta corrispondenza.L’educazione matematica e la sua fervida immaginazione spiegano perché Ada, una ragazza di quasi 18 anni, si appassionò alle macchine e divenne subito molto amica di Babbage, “il Frankenstein logaritmico”, che allora aveva più di 40 anni.

La “principessa dei parallelogrammi”, Lady Byron, madre di Ada, aveva educato alla matematica sua figlia fin dall’infanzia, alla sua tata ordinò “Parlatele solo di fatti reali… evitate con cura di raccontarle storie senza senso che potrebbero indurla a fantasticare”. Pericolosamente incline alla fantasia come suo padre e di salute cagionevole, Ada, secondo sua madre, poteva essere salvata soltanto da un ambiente austero e dalla matematica, che per il suo tutore William Frend era “certezza, non incertezza”. Per fortuna non tutti gli insegnanti di Ada furono così ottusi quanto Frend, noto per essersi opposto strenuamente all’introduzione dei numeri negativi a cui non credeva. Tra i “maestri” di Ada ci fu Lady Mary Sommerville, celebre scrittrice scientifica e matematica, istitutrice e amica di Ada che per prima le presentò Charles Babbage. E più tardi, quando Ada era già ventisettenne, divenne suo maestro il matematico di fama internazionale Augustus de Morgan, che osservò come “i poteri intellettuali di Lady L. [Ada] in questo campo [la matematica] superassero quelli di qualunque principiante, uomo o donna” e che grazie a questo avrebbe potuto “scoprire nuovi risultati matematici”. D’altra parte, Ada, in una lettera a De Morgan, riferendosi all’introduzione dei numeri complessi ad opera dal matematico irlandese Hamilton, aveva avanzato la promettente ipotesi di un’analoga estensione della geometria, anche in spazi a dimensioni infinte: “Credo che questa estensione dell’Algebra, ci condurrà a un’estensione analoga nel campo della geometria in tre dimensioni, e forse ancora oltre, in qualche spazio ancora ignoto, e così all’infinito!”.
Tra salotti e lezioni, Ada Byron sposò nel 1835 Lord William King, che poi divenne Conte di Lovelace (da qui il nome con cui si ricorda solitamente Ada, Lady Ada Lovelace). Dal matrimonio vennero tre figli e molti impegni nell’alta società inglese, che tuttavia non impedirono a Ada di riprendere le lezioni di matematica e l’interesse verso la Macchina Analitica.

Schema della macchina analitica

Schema della macchina analitica progettata da Babbage. Credit: Science Museum, London.

A circa dieci anni dal primo incontro tra Charles Babbage e Ada Lovelace, nel 1842, un giovane ingegnere militare, Luigi Menabrea, scrisse in francese un opuscolo per descrivere la Macchina Analitica che Babbage aveva presentato a Torino al 2° Congresso degli Scienziati Italiani, nel 1840. Ada tradusse l’opuscolo e, su suggerimento di Babbage, lo corredò di sette corpose note, firmate A. A. L., che allungavano di tre volte l’articolo originale.

Qualche tempo dopo [la comparsa dell’opuscolo di Menabrea] la contessa di Lovelace m’informò di aver tradotto la monografia di Menabrea. Le domandai perché non avesse scritto lei stessa un saggio su un tema che conosceva così bene e mi rispose che non le era venuto in mente di poterlo fare. Le suggerii allora di corredare di note il testo di Menabrea, idea che ella accettò subito. […] L’autrice è penetrata appieno in quasi tutte le questioni relative all’argomento. I due lavori insieme offrono a quanti sono in grado di afferrare il ragionamento una dimostrazione completa del fatto che ora tutti gli sviluppi e le operazioni analitiche possono essere eseguiti a macchina.

[Charles Babbage, autobiografia, Passages from the Life of a Philosopher, 1864]

La nota più famosa è l’ultima, la nota G, che contiene lo sviluppo completo di un programma per il calcolo dei numeri di Bernoulli, una particolare successione di numeri razionali: 14 pagine di codice, frutto di un intenso scambio epistolare tra Ada Lovelace e Charles Babbage che scrissero così il primo programma informatico della storia senza neanche aver mai visto il congegno che avrebbe potuto eseguirlo.

La Macchina Analitica, infatti, restò una macchina immaginaria: né Charles Babbage né Ada Lovelace la videro mai realizzata e tutt’oggi nessuno ne ha mai costruito un prototipo. Entrambi erano ossessionati dalla sua realizzazione, ma non riuscirono a ottenere i fondi necessari; sembra che negli ultimi tempi Ada avesse cominciato anche a giocare alle corse nella speranza di vincere abbastanza per portare a termine la loro opera, mentre Babbage accrebbe sempre di più il suo risentimento verso il governo di Sua Maestà che dopo la mancata costruzione della Macchina alle Differenze non volle più dargli credito.
Dopo continue malattie tenute a bada dai poveri rimedi della medicina dell’epoca, come salassi, sanguisughe, sali e oppiacei, Ada morì molto giovane di cancro nel 1852, aveva 37 anni.

Non è chiaro quanto sia il contributo di Ada e quanto quello di Babbage alle famose note, certo è che fu di Babbage l’idea di usare l’esempio dei numeri di Bernoulli e che Ada gli corresse un errore che aveva commesso. Lo scambio di lettere tra Ada e Babbage da cui le note derivano è andato in gran parte perduto, e gli studiosi e le studiose di questo rapporto si dividono tra chi esalta e chi denigra Ada. Non è facile stabilire di che livello fossero le sue capacità e le sue conoscenze matematiche, né se le lodi di De Morgan e di Babbage stesso fossero sincere o meno, perché oltre che una donna in un periodo in cui quasi nessuna donna poteva occuparsi di matematica e di scienze, Ada era anche nobile e la differenza di rango tra Ada e i suoi maestri poteva inibire un giudizio sincero.

Si era già alzato per andarsene, quando accidentalmente qualcuno menzionò Ada Lovelace (“Ada”, la figlia di lord Byron). Babbage la conosceva intimamente e parlò delle sue grandi doti matematiche, e di come fosse stata la persona più capace che conoscesse nel preparare (se la memoria non mi inganna) le descrizioni della sua macchina calcolatrice (temo che le mie parole non rendano giustizia alla natura dell’argomento a cui accennava).

[Henry Reed, professore di letteratura della University of Pennsylvania, lettera ad Alexander Bache, direttore dell’US Coastal Service, in The Southern Review, 1867]

Aldilà di quali fossero le sue reali capacità matematiche, non si può negare che Ada, nonostante gli sforzi della madre, affascinata dal romanticismo e dalla fantasia, era capace di spiccare voli che condussero il suo sguardo ben più lontano di quelli di Babbage e Menabrea. Ada vedeva la potenzialità di una macchina che avrebbe potuto elaborare non solo numeri ma anche simboli e quindi tutto quanto si possa esprimere in termini simbolici: dall’algebra alla musica.

Il meccanismo delle operazioni può essere perfino messo in azione da qualunque oggetto su cui può operare, […] può agire su ogni cosa, oltre ai numeri, purché tali oggetti siano assoggettabili a relazioni mutue fondamentali, esprimibili nella scienza astratta delle operazioni […], supponiamo che le relazioni fondamentali di una nota della scienza dell’armonia e dalla composizione musicale sia suscettibile di una tale espressione e adattamento, la macchina potrebbe comporre brani di musica scientifica di qualunque complessità e durata.

[Ada Byron Lovelace, Note allo Sketch of the Analytical Engine, 1843]

Non essendole stata concessa la poesia, Ada cercò la poesia nella scienza, diventando la “Fata del numero”, come la chiamava scherzosamente Babbage, ma senza mai esagerare nell’esaltare il potere della macchina.

Essa non pretende di creare nulla. Può fare tutto ciò che riusciamo a ordinarle di fare. Può eseguire l’analisi, ma non ha il potere di anticipare alcuna rivelazione o verità analitica. Il suo compito è quello di assisterci mettendoci a disposizione ciò che già conosciamo.

[Ada Byron Lovelace, Note allo Sketch of the Analytical Engine, 1843]

Nei decenni successivi alla scomparsa di Babbage, Ada Lovelace fu dimenticata finché, con l’avvento dei primi computer, a metà del Novecento, il lavoro di entrambi fu rivalutato. Alan Turing citerà proprio la nota di Ada sui limiti della Macchina nel suo articolo Computing Machinery and Intelligence sull’intelligenza artificiale.
A cominciare dall’apporto di Ada Lovelace, i contributi femminili nella storia dei computer non mancano, e, cento anni dopo la stesura delle note di Ada, la matematica Grace Hopper, con un dottorato in matematica a Yale, entrò nel corpo delle WAVES (Women Accepted for Volunteer Emergency Service) della Marina degli Stati Uniti, dove fu assegnata al Bureau of Ships Computation Project dell’Università di Harvard per collaborare alla programmazione dello Harvard Mark 1, una “gigantesca macchina misteriosa” per il calcolo automatico, progetto per il quale Hopper scriveva i programmi e addestrava gli operatori. Nel ’46 fu pubblicato il primo manuale di programmazione della storia, a cui Grace Hopper contribuì come “redattore generale”, diventando a tutti gli effetti una delle pioniere e dei pionieri dell’informatica. Anche il primo calcolatore elettronico, l’ENIAC dell’Università di Filadelfia, veniva programmato da un gruppo di programmatrici, che conoscevano sia la logica e la matematica sia la struttura fisica della macchina.

Due donne lavorano all'ENIAC

Marlyn Wescoff Meltzer e Betty Jennings Bartik mentre configurano il pannello di controllo dell’ENIAC (1978 – 1982). Fonte: International Communications Agency. Press and Publications Service. Publications Division.

Oggi la fantasia da una parte e la tecnologia dall’altra sono andate oltre i limiti immaginabili dai protagonisti e dalle protagoniste di questa storia e la frontiera dei computer, rappresentata dai computer quantistici, vede ancora una donna come protagonista. Alla base della natura rivoluzionaria del computer quantistico c’è la sostituzione dei bit binari (che possono assumere solo i valori 0 o 1) con i bit quantistici, o qubit, (che permettono di contenere molte più informazioni, grazie al principio di sovrapposizione dello stato quantistico). L’idea nasce negli anni ’80, ma la realizzazione pratica mette in difficoltà ancora oggi. Nonostante nel 2019 l’IBM abbia presentato il primo prototipo commerciale di computer quantistico, gli ostacoli fisici e ingegneristici da superare per realizzare computer quantistici di potenza sufficiente a rivoluzionare il mondo del computer sono ancora molti. Proprio per questo, dal 2020 è stato istituito un grande centro di ricerca, Superconducting Quantum Materials and Systems Center (SQMS), con sede al Fermilab di Chicago e al quale partecipano 20 istituzioni, tra cui l’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare è l’unico partner non statunitense del progetto.

A guidare SQMS, con il compito di sviluppare il computer quantistico con prestazioni mai raggiunte finora, è Anna Grassellino, una ricercatrice del Fermilab di Chicago che ha iniziato la sua carriera all’INFN di Pisa.


Fonti e consigli per approfondire