Spazi e colori per la meccanica quantistica

Intervista a Laura Dellamotta e Sara Maniscalco, che hanno curato il progetto allestitivo della mostra “Quanto”, e a Federica Grigoletto che ne ha curato il progetto grafico e illustrativo

Anna Greco
18 Aprile 2024
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Entrata della mostra Quanto. La rivoluzione in un salto. Credit: Michele De Stefano

Colori, elementi grafici e materiali sono stati elementi fondamentali per costruire lo storytelling della mostra

La fisica quantistica si muove nel dominio dell’invisibile: come rappresentarne le idee e trasferirne lo spirito attraverso gli spazi e gli elementi visivi di una mostra? Una sfida non da poco, affrontata con successo nella mostra  dell’INFN Quanto. La rivoluzione in un salto”, aperta fino al 15 giugno 2024 al MUSE – Museo delle Scienze di Trento.

Ne abbiamo parlato con alcune fra le professioniste coinvolte nell’allestimento e nel progetto grafico della mostra: Federica Grigoletto, che ne ha curato l’identità visiva, e due componenti dello studio Dotdotdot, che ha sviluppato il progetto allestitivo e alcune delle installazioni multimediali, Laura Dellamotta, cofounder e general manager di Dotdotdot, e Sara Maniscalco, project manager di Dotdotdot.

Quali idee fondamentali hanno guidato la definizione dell’identità visiva della mostra?

FG: L’identità visiva di una mostra è strettamente correlata al concept, alla progettazione degli spazi, allo storytelling e all’intento curatoriale. Non è mai un processo condotto “in solitaria”: l’interdisciplinarietà sottesa al processo creativo è alla base della progettazione di un percorso di visita, che coinvolge una pluralità di professionisti con l’obiettivo comune di garantire la coerenza e l’organicità di una mostra. Per “Quanto”, sono partita da alcuni concetti-chiave dello storytelling sviluppato dalle curatrici Francesca Scianitti e Cecilia Collà Ruvolo, per tradurli in un visual storytelling efficace a più livelli di “lettura”, cioè adatto a un pubblico estremamente eterogeneo. Interferenza/luce, incertezza/probabilità, onda/particella sono i binomi che hanno guidato il lavoro di sviluppo creativo fin dall’inizio.

Grafica della mostra quanto su onda e particella. Credito di Federica Grigoletto

Quali sono state le sfide principali, legate tanto allo spazio espositivo quanto ai contenuti, nella progettazione dell’allestimento della mostra?

LD: Come studio di progettazione, allestimento e interaction design, siamo stati chiamati più volte a “mettere in mostra” contenuti complessi attraverso installazioni e percorsi espostivi che fossero adeguati ai pubblici più diversi, e negli anni abbiamo sviluppato un approccio metodologico interno per affrontare progetti di questo tipo. In questo particolare caso una delle sfide principali è stata calare i contenuti della meccanica quantistica nel contesto espositivo del MUSE, che vede come target principale giovani scolaresche: un pubblico per il quale è fondamentale una progettazione ben dosata e la costruzione di uno storytelling che coinvolga in ogni passaggio chi visita la mostra.

SM:  Un’ulteriore sfida è stata la disposizione dello spazio: un unico ambiente, molto ampio e permeabile con gli altri spazi del museo che era necessario scandire in cinque differenti aree. Il concept della mostra prevedeva infatti la creazione di cinque sezioni tematiche ben definite in cui il passaggio tra una e l’altra doveva accompagnare in maniera chiara il visitatore verso un nuovo “salto di conoscenza”.
Per delimitare il percorso e fisicalizzare questi salti, abbiamo lavorato su una struttura modulare che permettesse di creare degli ambienti separati: i passaggi tra una sezione e l’altra sono stati sottolineati da una tenda, che separa dalla sala successiva ma nello stesso tempo la lascia semi-svelata. Scostando la tenda, sul pavimento che attraversa la soglia fra due ambienti, si può leggere il nome della sezione in cui si sta entrando, riportato su grandi cerchi viola, come a dare un indizio su quello che viene svelato. Alla fine di ogni sezione, inoltre, sono presenti dei pannelli con una domanda, la cui risposta viene data nella sala successiva, che sono stampati su materiali a tecnologia lenticolare, ossia che cambiano quando vengono osservati da diverse angolazioni.

Anche la scelta dei colori e dei caratteri tipografici, così come quella dei materiali sottolinea i salti di conoscenza e le idee chiave dalla meccanica quantistica.

FG: L’utilizzo di una palette di colori fluorescenti, abbinati al nero e al grigio, è servito a richiamare immediatamente l’idea della luce e a rispondere funzionalmente alle caratteristiche degli spazi, connotati da una luminosità limitata per ospitare proiezioni e installazioni. Ogni sezione è “illuminata” da un colore specifico e dalle sue varianti tonali per permettere al visitatore di orientarsi all’interno del percorso di visita anche grazie a un codice cromatico; la vivacità dei colori cattura in particolare l’attenzione di un target giovane ed esalta, per contrasto, la pannellistica in lamina di alluminio. I caratteri tipografici e molti passaggi animati avvengono per sdoppiamento, frammentazione e successiva ricomposizione di forme, a comunicare l’idea di incertezza e probabilità intese come superamento del determinismo verso una moltiplicazione delle possibilità.

SM: Attraverso la scelta di strutture metalliche modulari abbiamo cercato di creare un ambiente neutro, quasi astratto, che permettesse ai visitatori di calarsi in un luogo altro rispetto al resto del museo. L’idea dell’allestimento si ispira al concetto di certezza e incertezza che caratterizza i principi delle scoperte scientifiche: filtri che scompongono immagini e oggetti, grafiche lenticolari che moltiplicano i punti di vista e le storie, materiali evanescenti e trasparenti che rendono la superficie frammentaria, attraversabile e mutevole.
Trasparenze e superfici riflettenti, realizzate con pannelli alveolari e rivestimenti metallici, permettono di amplificare gli ambienti e di vedere attraverso le pareti, in modo indefinito, le persone che attraversano gli altri spazi; queste scelte hanno permesso di creare sì ambienti chiusi, ma nei quali c’è sempre una piccola osmosi con le altre stanze della mostra. Alcuni escamotage allestitivi, come quello delle grafiche lenticolari, oltre a riprendere concettualmente i contenuti della mostra, hanno l’obiettivo di creare un “coinvolgimento analogico” poiché richiedono che il visitatore agisca attivamente, muovendosi e cambiando punto di vista. Le aree dello spazio sono definite anche dal suono: ognuna delle installazioni realizzate dallo studio Dotdotdot è accompagnata da suoni generativi sviluppati ad hoc e in alcuni casi basati su dati reali, come per l’installazione “Buco nero”.

Come si inseriscono gli elementi multimediali nel progetto grafico della mostra? 

FG: I pannelli espositivi e i contributi multimediali rappresentati da video e proiezioni sono due aspetti inscindibili alla base della progettazione dell’identità visiva della mostra.  Sebbene i pannelli informativi abbiano una loro intrinseca autonomia, la complessità degli argomenti di questa mostra ha reso necessario e funzionale l’intervento multimediale. I video rispondono a un’esigenza di approfondimento e chiarimento dei concetti fondamentali del racconto scientifico. Le grandi proiezioni dialogano in modo unitario con i contenuti di ogni sezione, ampliando e spettacolarizzando il senso di alcuni passaggi chiave della mostra. Entrambi sono stati progettati alternando rappresentazioni e simulazioni scientifiche a immagini più evocative.
In particolare, il contributo multimediale presente nella sezione “Paradossi” ha rappresentato una vera e propria sfida. è stato concepito come una sorta di teatro virtuale articolato in quattro grandi monitor verticali, in cui un video di circa 16 minuti presenta al visitatore i grandi paradossi della meccanica quantistica utilizzando un tono più pop e ironico rispetto a quello degli altri contributi multimediali. L’ambizione è stata quella di rendere il dibattito scientifico e per molti versi filosofico esistito tra i grandi protagonisti della storia della meccanica quantistica con un linguaggio attuale e con espedienti narrativi e visivi che esaltassero una sceneggiatura ironica, pur mantenendo rigore scientifico, in una modalità immediatamente comprensibile al pubblico.

Fra le installazioni sviluppate da Dotdotdot per la mostra, ce n’è stata qualcuna in particolare che si è rivelata più complessa?

SM: Nella mostra sono presenti cinque installazioni sviluppate dal nostro studio: “Effetto fotoelettrico”, “Dualismi”, “Sovrapposizioni”, “Doppia Fenditura” e “Buco Nero”. Alcune di queste sono più immersive, con interazioni semplici e rapide, altre hanno la forma di “esperimenti ludici”, che ripropongono l’estetica dell’esperimento ed evidenziano il rapporto di causa-effetto.  “Doppia fenditura”, dedicata all’esperimento di Young, è stata una delle più sfidanti, perché il fenomeno fisico che si voleva rappresentare è completamente controintuitivo e può apparire quasi “magico”. Grazie al lavoro di semplificazione del tema fatto con le curatrici, abbiamo circoscritto i punti chiave imprescindibili dagli approfondimenti, che sono stati lasciati ai testi di sala. Abbiamo quindi progettato un’installazione che prevedesse un’interazione breve ma di grande effetto, fruibile sia a un singolo visitatore, che a un gruppo, come una scolaresca.
L’installazione è costituita da tre monitor, che rispecchiano l’esperimento reale: un emettitore, che è la sorgente di fotoni, la doppia fenditura, e lo schermo su cui si riproduce l’effetto del passaggio dei fotoni dalle fenditure. Attraverso un video in loop, viene simulata l’emissione di fotoni dalla sorgente, che man mano diminuisce fino a diventare emissione di un solo fotone alla volta, accompagnata da una sonificazione. Il visitatore può interagire con l’esperimento avviando il processo di misura e osservandone gli effetti.

A complemento dei testi e dei contenuti multimediali, i pannelli espositivi prevedono anche delle infografiche. Come sono state sviluppate?

FG: Narrare la scienza dal punto di vista visivo prevede un lavoro di pre-produzione costituito in prima istanza dallo studio, quanto più approfondito possibile, degli argomenti da comunicare. Personalmente lo considero uno degli aspetti più stimolanti di questo lavoro.  Nel processo di progettazione creativa, è stato fondamentale il coinvolgimento delle curatrici, che oltre alla formazione scientifica come fisiche, hanno grande esperienza anche nel campo della comunicazione e questo mi ha permesso di sviluppare il racconto visivo attraverso un lavoro di co-progettazione estremamente efficace.
Le infografiche sono state elaborate utilizzando linee, pattern e forme geometriche di base e di facile lettura; alcuni elementi ricorrono in diversi punti della mostra per richiamare i concetti e rafforzarne la memoria. Ad esse sono state associate una serie di grandi illustrazioni evocative per ampliare il livello narrativo, con l’intento di avvicinare la meccanica quantistica ad altre dimensioni dell’umano, a un livello emotivo più profondo, in grado di lasciare un segno più duraturo. In questo senso, ad esempio, la metafora visiva della scia di una barca in mezzo al mare è servita a veicolare il concetto di “impronta macroscopica” del passaggio di una particella subatomica. Il “mare di Dirac” e la sua idea di vuoto quantistico che produce di continuo particelle e antiparticelle, sono state rappresentate attraverso l’illustrazione di un paesaggio marino “in positivo” e “in negativo”, con due maniche a vento in primo piano orientate in senso opposto, che potesse permettere anche a un bambino di capire la sostanza di quella teoria e di “vedere l’invisibile”.

Le grafiche presenti in quest’articolo sono state realizzate da Federica Grigoletto per la mostra “Quanto. La rivoluzione in un salto”. Riproduzione riservata.

“Incontri” è l’appuntamento editoriale di Collisioni.infn, dedicato al dialogo con i testimoni dello scambio interculturale tra la comunità scientifica, in particolare l’INFN, e il mondo culturale nel suo insieme.