Dal 7 dicembre 2023 il MUSE – Museo delle Scienze di Trento ospita la mostra “Quanto. La rivoluzione in un salto”, realizzata da INFN e MUSE e a cura dell’INFN, che racconta la straordinaria rivoluzione della meccanica quantistica, una teoria che fin dal principio ha messo in crisi le conoscenze della fisica classica, gettando le basi per una nuova visione della realtà.
Il MUSE è ormai da anni ormai punto di riferimento nel panorama dei musei scientifici per il suo approccio innovativo, che gli è valso un grande successo non solo sul territorio della Provincia Autonoma di Trento, ma anche a livello nazionale. Abbiamo intervistato Michele Lanzinger, direttore del MUSE, per raccontare le relazioni fra il museo, la nuova mostra e i suoi visitatori.
Che museo è il MUSE e come si inserisce la mostra “Quanto” nel suo progetto di diffusione della cultura scientifica?
Il MUSE nasce come un luogo partecipativo ed esplorativo, dedicato ai pubblici più diversi: anche se fra le destinazioni culturali prescelte dai turisti, è tradizionalmente forte il nostro legame con l’ambito scolastico, e guardiamo con interesse sempre crescente ai giovani adulti, meno abituati a frequentare i musei. A tutte le età e da qualunque contesto proveniamo, infatti, come esseri umani, abbiamo una nostra naturale curiosità: andare al museo è uno dei modi per soddisfarla, entrando a contatto con qualcosa di nuovo. Lo sforzo che facciamo, poi, nell’avvicinarci e apprendere ciò che non conosciamo ci porta ad una soddisfazione cognitiva, che non è molto diversa dalla soddisfazione di aver scalato una montagna o di aver risolto un sudoku. La visita al museo ha infine anche una dimensione esplorativa, equivalente all’esplorazione di un territorio: quello che si scopre viene memorizzato e fatto proprio, diventa un valore aggiunto della propria personalità, che poi si declina, attraverso il racconto, anche nella dimensione sociale.
Una mostra come “Quanto” rientra a pieno titolo in questo approccio: fare sì che, durante e dopo la visita al museo, le persone si sentano soddisfatte di aver scoperto qualcosa di nuovo da condividere con altri, di essersi impegnate e aver raggiunto un obiettivo di crescita, ognuno con i propri strumenti.
La mostra propone infatti temi sfidanti, paradossi e idee controintuitive. Come reagisce il pubblico del museo a questi temi?
Il pubblico di “Quanto” si sta rivelando molto attento: segno che, quando un contesto espositivo è curato come in questa mostra, è possibile “alzare l’asticella” e proporre temi più complessi. L’utilizzo di diversi media – sia la lettura attenta, sia la parte interattiva, sia la parte video – permette di dare capacità di lettura a diversi segmenti di pubblico. Nella mostra, i diversi aspetti sono molto coerenti fra loro e consentono di avvicinarsi a questa scienza indubitabilmente difficile, ma capace di ispirare nelle sue espressioni. Non è una mostra per pochi; è anzi una mostra che dà soddisfazione a tutti i visitatori.
Nella narrazione della rivoluzione quantistica, la mostra presenta un contesto espositivo variegato: quali scelte di linguaggio narrativo e artistico sono secondo lei le più riuscite?
La componente digitale si integra ormai perfettamente nelle nostre vite, quindi è cruciale che sia presente negli apparati espositivi. Nel caso della mostra “Quanto” gli exhibit digitali, sia interattivi che non, mettono in campo un approccio che è legato anche a componenti estetiche, e che, oltre a veicolare un contenuto, riesce ad accogliere ed intrattenere.
Poi, oggi siamo forse tutti un po’ “figli” di Piero Angela e del suo SuperQuark: i filmati, in particolare le interviste, sono un modo di rappresentare il racconto molto gradito. Le persone si siedono e ascoltano la narrazione video con grande attenzione: i filmati sono ormai degli elementi importanti all’interno dello spazio espositivo per la componente “trasmissiva” del meccanismo di apprendimento.
Infatti, chi lavora nell’ambito di un museo o di una mostra, ha il compito di mettere a disposizione contenuti affinché scatti il meccanismo dell’apprendimento, superando il timore del “deficit model”: non è di certo un approccio sufficiente alla diffusione della cultura scientifica, ma allo stesso tempo non dobbiamo rinunciare a mettere a disposizione nel miglior modo possibile dei contenuti.
Il viaggio della mostra porta a raccontare due aspetti diversi della ricerca di frontiera nella meccanica quantistica, uno più applicativo e uno di indagine aperta. Da un lato le tecnologie quantistiche, dall’altro le domande senza risposta sull’universo, la sua origine e la sua natura. Da un lato un legame forte con un futuro prossimo, dall’altro con un passato remoto. Come si colloca il ruolo del museo nel raccontare l’avanzamento delle tecnologie?
Credo che i musei siano i luoghi giusti per superare quest’apparente dicotomia, i luoghi dove si può dimostrare, anche attraverso l’attività di ricerca del museo stesso, che senza conoscenza di base non c’è possibilità di alimentare ricerca e sviluppo. La distinzione di finalità fra la ricerca di base e quella applicata è solo apparente: l’una e l’altra costituiscono elementi fondamentali della nostra società.
Il compito del nostro museo, e questa mostra lo svolge benissimo nella sua lateralità, è mostrare che la ricerca è fondamentale nel trovare soluzioni, e dare un’idea progressiva, positiva del nostro futuro, ma la scienza dei nostri futuri desiderabili non può essere disconnessa rispetto agli orizzonti sociali, ambientali, etici ed economici che la sola dimensione tecnologica non è in grado di portare avanti, ma di cui la società non può fare a meno.
I musei, e in particolare i musei della scienza, possono essere considerati dei veri e proprio “laboratori di futuri”: sono i luoghi dove le persone incontrano il pensiero critico, ricevono stimoli e prospettive diverse, che permettono di farsi una propria opinione ed essere attivi agenti di crescita e trasformazione della società.
Confidiamo che oltre a fornire elementi di conoscenza specifici rispetto al tema, questa mostra fornisca una sua ermeneutica della conoscenza scientifica e del suo metodo, e sia un’opportunità di contribuire a sviluppare la fiducia nei confronti della ricerca scientifica in un momento in cui un approccio non scientifico in molti campi sta avendo un impatto allarmante sulla nostra società.
Stabilire una relazione diretta con le persone sembra essere la chiave per permettere al museo di esercitare un ruolo attivo nella società. Già da tempo, il MUSE è un attore culturale molto presente nella Provincia Autonoma di Trento, un territorio su cui insistono anche altre realtà di ricerca di base, in un ecosistema della conoscenza. A cosa si deve questo successo?
La forte relazione fra la scienza e il territorio nella Provincia Autonoma di Trento è frutto di una scelta intrapresa ormai tanti anni fa: negli anni Settanta si scelse di dare nuova linfa a un territorio fortemente marginalizzato, in quanto alpino e non interessato da zone industriali, investendo molto sulla ricerca e sull’università.
Questo investimento ha permesso nel tempo lo sviluppo di realtà di ricerca come l’Università di Trento, la Fondazione Bruno Kessler, la Fondazione Edmund Mach, il TIFPA e lo stesso MUSE, che hanno dimostrato di sapersi integrare anche in logiche globali, ma ha anche generato una trasformazione nel modo di pensare delle nostre comunità, che hanno creduto nel ruolo della cultura come fattore di sviluppo locale. Le istituzioni, d’altra parte, hanno sempre saputo sviluppare una relazione di trasparenza e di comunicazione delle attività, ponendo le basi per una forte condivisione con la comunità. Per queste ragioni, i centri di ricerca non sono considerati degli elementi “alieni”, ma i fautori di una forma di qualificazione territoriale, divenuta quasi un “brand” territoriale.
“Incontri” è l’appuntamento editoriale di Collisioni.infn, dedicato al dialogo con i testimoni dello scambio interculturale tra la comunità scientifica, in particolare l’INFN, e il mondo culturale nel suo insieme.