Confini

Dalla crisi della meccanica classica alla meccanica quantistica

31 Ottobre 2025
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Grafica di Federica Grigoletto sul tema continuo-discreto

Nel momento di massimo successo della fisica classica, all’inizio del ‘900, qualcosa si incrina e la necessità di una nuova descrizione della realtà si fa avanti.

Se questi dannati salti quantici dovessero esistere, rimpiangerò di essermi occupato di meccanica quantistica!

Erwin Schrödinger

La fisica classica di Isaac Newton e Clerck Maxwell, con i suoi due capisaldi, la meccanica classica e l’elettromagnetismo, era considerata alla fine dell’800 la perfetta descrizione del mondo fisico, capace di dare a tutti gli effetti una rappresentazione accurata dei fenomeni macroscopici della materia e della luce. L’avanzamento tecnologico raggiunto proprio grazie alla fisica classica aveva condotto però anche alla scoperta di fenomeni che non trovavano spiegazione, come l’emissione degli spettri a righe degli atomi riscaldati o la presenza di interruzioni, righe nere, nello spettro del Sole filtrato da un prisma. La struttura stessa dell’atomo, intravista grazie agli esperimenti di Joseph Thomson e Ernest Rutherford, sembrava incomprensibile.

Tra i diversi fenomeni che non rispondevano alle leggi della fisica classica uno era legato a un’invenzione di portata epocale, di grande interesse per l’industria di allora: facendo passare una corrente elettrica in un filo metallico, questo, scaldato dal passaggio della corrente, emette una luce di colore giallastro in grado di illuminare molto meglio rispetto alla fiamma di una candela. Il fenomeno nascondeva un’insidia. Una lampadina a incandescenza, così come un forno, la brace o il Sole, e tutti i corpi caldi emettono una luce che dipende dalla loro temperatura, e che solo a temperature elevatissime può raggiungere i toni del blu o del viola. L’elettromagnetismo, al contrario, prevedeva un comportamento opposto.

Spettro del Sole
Spettro del Sole

Nel 1900 il fisico tedesco Max Planck trovò una soluzione con un’idea che lui stesso definì “disperata”: i quanti. L’idea di Planck fu che l’energia scambiata tra materia e luce aumentasse con la frequenza della luce e fosse quantizzata, ovvero fosse sempre un multiplo intero di una quantità minima e costante: la costante di Planck. In questo modo per i corpi emettere luce di frequenze alte, come quella di colore blu o viola, diventava più dispendioso in termini di energia e quindi meno “conveniente”. Sembrava un trucco matematico per descrivere i dati sperimentali ma era il primo passo verso la teoria dei quanti.

Infografica sui livelli energetici nell'atomo di Bohr e il confronto tra energia continua e discreta. Credit: Federica Grigoletto
Infografica sui livelli energetici nell’atomo di Bohr e il confronto tra energia continua e discreta (Federica Grigoletto)

Nel 1913, il fisico danese Niels Bohr applicò lo spunto di Planck alla materia. Sulla scorta delle prime ipotesi sulla struttura dell’atomo, Bohr propose una spiegazione per le righe di emissione e assorbimento nei gas: riferendosi all’atomo più semplice, l’idrogeno, composto dal nucleo e un solo elettrone, immaginò che l’elettrone potesse collocarsi solo su alcune orbite particolari intorno al nucleo, e non a una distanza qualsiasi da questo. Ogni orbita ammessa corrisponde per Bohr a un livello di energia e gli elettroni possono saltare da un’orbita all’altra emettendo o assorbendo energia in quantità discrete ben precise, sotto forma di luce. È il salto quantico.

Ancora prima di Bohr, fu un giovane Albert Einstein ad accogliere l’ipotesi di Planck e ad andare ancora oltre, intuendo che i quanti non erano soltanto un meccanismo per far tornare le cose, ma rappresentavano la natura intrinseca della luce. Nel 1905, Einstein spiegò l’effetto fotoelettrico, l’emissione di elettroni da parte di un metallo illuminato da un fascio di luce, descrivendo la luce non più come un’onda elettromagnetica ma come un flusso di quanti di luce, i “fotoni”: particelle ognuna con un’energia proporzionale alla frequenza secondo la formula di Planck E=hν. I quanti, che per Planck erano solo un coraggioso artificio per spiegare gli scambi di energia tra luce e materia, con la spiegazione di Einstein dell’effetto fotoelettrico sembrano rappresentare la natura stessa della luce e la chiave della porta di una nuova realtà. Più tardi, nel 1923, lo scienziato Arthur Compton realizzò un esperimento simile usando però i raggi X, fasci di luce di alta energia che, scontrandosi con gli elettroni degli atomi, cedevano parte della loro energia e cambiavano direzione seguendo le stesse leggi che descrivono gli urti tra biglie. La radiazione elettromagnetica sembrava attraversare così quel confine, che per oltre due secoli era apparso netto e invalicabile, tra il mondo dei corpi e il mondo della luce. Ma a quale dei due mondi apparteneva nella realtà?

Approfondimenti

Il percorso sulla Meccanica Quantistica è stato realizzato in occasione delle iniziative per il 2025 Anno Internazionale della Scienza e della Tecnologia Quantistica.