Il Novecento è stato un secolo di grandi cambiamenti, per la storia e per la scienza: in questo tempo complesso hanno vissuto quattro scienziate che hanno contribuito in modo decisivo alla fisica dell’ultimo secolo, ma che sono ancora poco note. Delle loro vite e della loro ricerca racconta lo spettacolo teatrale La Forza Nascosta. Scienziate nella Fisica e nella Storia, prodotto dall’INFN Sezione di Torino con il Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Torino, l’Associazione Terra Terra, Almateatro e il Teatro Baretti.
Abbiamo raccontato la genesi, l’evoluzione e il futuro di questo progetto con tre componenti del gruppo di lavoro che ha dato origine allo spettacolo: Anna Ceresole e Nadia Pastrone, ricercatrici della Sezione INFN di Torino, ed Elena Ruzza, attrice e drammaturga.
Del gruppo di lavoro fanno parte anche le ricercatrici INFN Nora De Marco e Simonetta Marcello del Dipartimento di Fisica, la storica delle donne Emiliana Losma e l’esperta di innovazione tecnologica Rita Spada, la soprano Fè Avouglan. La regia è di Gabriella Bordin.
Qual è l’idea che ha guidato la nascita di questo progetto teatrale?
Nadia Pastrone: La nostra volontà era quella di raccontare il nostro lavoro di ricerca in fisica attraverso le storie di altre scienziate che vi hanno contribuito con sviluppi innovativi. Dopo aver a lungo dibattuto guidate dalle proposte di Emiliana Losma, abbiamo scelto quattro figure non abbastanza note ma molto importanti per la nostra storia, le cui vite si intrecciano sia con l’evoluzione della scienza che con il periodo storico del Novecento: Vera Cooper Rubin, Milla Baldo Ceolin, Marietta Blau e Chen Shiung Wu. Per questa ragione il sottotitolo dello spettacolo è “Scienziate nella Fisica e nella Storia”.
Lo spettacolo è maturato nel corso di un anno e mezzo di confronto fra artiste e scienziate, e ci ha permesso di ragionare anche sui metodi per comunicare e divulgare la scienza. Dalla volontà di capirsi le une con le altre e di farsi capire dal pubblico, il nostro sguardo è cambiato e continua a cambiare.
Elena, come è costruito il racconto e quale ruolo interpreta nello spettacolo?
Elena Ruzza: “La Forza Nascosta” è un esempio di teatro di narrazione, un genere che permette di entrare e uscire da diversi personaggi. Io interpreto la curatrice della memoria e come tale racconto sia come narratrice che in prima persona la storia delle scienziate protagoniste. Il racconto mescola volutamente la vita privata e la vita pubblica delle scienziate, accompagnato dalle musiche del pianista Diego Mingolla, dalle composizioni sonore del musicista Ale Bavo e dalla voce della soprano Fé Avouglan, mia compagna di scena.
Le scienziate di cui raccontate vita e scoperte si sono occupate di argomenti molto complessi della fisica di base. Come avete lavorato per costruire un testo che bilanciasse le storie personali delle scienziate con il contenuto strettamente scientifico?
Anna Ceresole: Il nostro scopo era trovare un linguaggio preciso ma comprensibile per affrontare i temi della fisica moderna che sono al centro della ricerca dell’INFN. Il testo è il risultato di un’interazione fra scienziate, fra artiste e fra donne: le artiste ci hanno chiesto di raccontare in modo poetico le scoperte della fisica che erano rilevanti per i personaggi che avevamo identificato, e noi scienziate siamo andate a fondo nel presentarne il contenuto scientifico.
Questo racconto è anche un’occasione per approfondire la nascita della fisica contemporanea in relazione con la storia recente, la sua evoluzione, il suo ruolo nella tecnologia e nelle applicazioni, punti che abbiamo potuto toccare grazie alle competenze della storica delle donne e dell’esperta di innovazione tecnologica che fanno parte del nostro gruppo di lavoro. Ognuna di noi ha curato il testo, osservandolo dalla propria angolazione e con le proprie competenze.
La musica e la voce della soprano sono un altro elemento fondamentale della narrazione. Come avete scelto la musica da inserire e perché il canto lirico?
AC: Nel corso dello spettacolo, la musica è molto varia ed è stata scelta per richiamare la zona del mondo in cui gli eventi si svolgevano: dal canto popolare cinese al canto ebraico, al jazz all’opera lirica: insomma, c’è un po’ di tutto, e questo lo rende vivace e leggero, nonostante si parli di temi di fisica complessi.
ER: Il punto di vista da cui è nato lo spettacolo è quello di un team tutto italiano, e la forma d’arte più riconosciuta come italiana nel mondo è la lirica.
Desideravamo inoltre che ci fosse uno scarto di linguaggio molto netto fra narrazione e musica: Fé Avouglan è una soprano molto preparata nel canto lirico, ma versatile anche su altri generi. La gamma di colori della sua voce e il suo modo di vivere la musica si sono rivelati complementari al racconto che stavamo costruendo. In più, Fé non canta solamente: agisce sulla scena ed è a tutti gli effetti la mia parte simmetrica.
La simmetria dei movimenti, così come la scenografia minimale, concorrono a creare uno spettacolo visivamente interessante ma anche semplice da mettere in scena in contesti diversi da quello teatrale.
ER: La scenografia è composta da cinque barre di luce che muoviamo e ruotiamo per evocare scenari e contesti differenti. Le barre luminose simboleggiano le donne di conoscenza che raccontiamo, ma anche le quattro forze fondamentali della fisica più una quinta forza nascosta, e, poiché l’idea che ci ha sempre accompagnato è quella di donne stellate, tutti i movimenti delle barre culminano nella forma della stella, al termine dello spettacolo.
Non è scontato costruire uno spettacolo che possa essere adatto a tutti gli ambienti. È stato uno degli obiettivi fin dall’inizio: “La Forza Nascosta” trova nel teatro il suo luogo ideale, ma l’abbiamo portato nei musei, nelle scuole, nelle aule universitarie, anche nella caverna dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso.
Dal debutto nel 2020 ad oggi, come si è evoluto lo spettacolo?
ER: In questi anni, abbiamo fatto più di 50 repliche a livello nazionale e internazionale: abbiamo iniziato con spettacoli a porte chiuse con trasmissione in streaming, durante la pandemia, fino ad arrivare lo scorso novembre al Consolato Italiano a Zurigo.
Dagli 80 minuti iniziali, si è arrivati a una durata di poco oltre un’ora, adatta sia al pubblico scolastico che ad un pubblico più ampio, di studenti universitari o di semplici curiosi. Per portarlo in contesti internazionali abbiamo introdotto i sottotitoli in inglese che vengono seguiti in tempo reale per garantire la massima fedeltà alla scena.
Ma, anche dopo quattro anni, ogni volta che siamo in scena è sempre diverso: la bellezza del teatro è che è un rito laico, che si compie ogni volta, tra chi è in scena e chi ascolta.
Al termine dello spettacolo, spesso dedicate uno spazio al dialogo diretto con il pubblico. Che riscontro avete ricevuto in questi anni?
AC: Abbiamo sperimentato come lo spettacolo funzioni con una varietà di pubblico molto ampia, da bambini delle scuole medie a studenti e studentesse universitarie, da persone della società senza alcuna preparazione scientifica a colleghi ricercatori. Nella fase di interazione con il pubblico abbiamo osservato come il sovrapporsi delle tematiche scientifiche, storiche e di genere creasse un’alchimia particolare. Se si parla solo di questioni di genere o solo di scienza o solo di storia, si può creare una sorta di déjà-vu, mentre questa commistura ci permette di innescare uno scambio molto costruttivo.
Molto spesso emerge che le scienziate di cui parliamo nello spettacolo non sono conosciute, e questo non ci stupisce molto: spesso neppure i nostri colleghi conoscono bene queste figure! Le persone conoscono le scienziate più celebri, Marie Curie, Rita Levi Montalcini, ma non hanno idea del tessuto di donne scienziate che c’è stato e c’è ancora oggi nella storia. La nostra missione è diventata anche quella di accrescere la consapevolezza su questo specifico aspetto.
NP: Noi veniamo da un contesto storico di ricerca, quello torinese, in cui le donne hanno spesso precorso i tempi. Ne abbiamo intervistate alcune che ci hanno raccontato le loro storie. Una fra tutte è quella della fisica Maria Vigone, che dal 1952 tra le prime in Italia ha cominciato a utilizzare emulsioni nucleari per misurare le tracce delle particelle elementari nei raggi cosmici. Al contrario di quanto avveniva nella maggior parte dei laboratori, in cui le donne svolgevano ruoli prevalentemente tecnici per ricostruire le tracce al microscopio, nel gruppo di Torino le donne rivestivano ruoli strategici, in prima linea anche durante i lanci dei palloni aerostatici che trasportavano le emulsioni ad alta quota nell’atmosfera, per incrementare flusso ed energia dei raggi cosmici e scoprire nuove particelle con le prime collaborazioni internazionali.
Spesso ci viene chiesto come conciliamo la vita e il lavoro, non solo alle scienziate ma anche alle artiste. La domanda che mi ha colpito di più, è stata quella di una ragazzina di undici anni che per prima a Zurigo ha rotto il ghiaccio e ha chiesto: ma come si fa a essere curiosi?
La curiosità è la leva principale, ma la scienza è davvero per tutti e tutte?
NP: Quello che cerchiamo di trasmettere a ragazzi e ragazze è la possibilità di crearsi un percorso proprio, nella scienza o in altri settori. Per noi scienziate è chiaro quel che facciamo e quali motivazioni ci spingono, ma ci siamo rese conto che non sempre lo è per chi viene da altri contesti. Volevamo che dallo spettacolo trasparisse la difficoltà nelle vite di chi fa ricerca, ma anche nell’affrontare gli scogli della comprensione della scienza, che va avanti, sempre, grazie a tutti e a tutte.
AC: Di questo aspetto abbiamo avuto riscontro anche nelle conversazioni al termine dello spettacolo. Raccontare storie di scienza aiuta le persone a capire che esiste anche questa dimensione, che non è sempre indispensabile essere dei geni per affrontare la scienza come mestiere. Questo è un messaggio che interessa chi deve scegliere una professione, che siano ragazze o ragazzi, che spesso vengono intimiditi dal mondo della scienza. Lo percepiscono come molto competitivo, immerso in un teatro internazionale in cui si è portati a cambiare vita frequentemente e spostarsi per seguire un progetto: una vita molto impegnativa. Ci teniamo a comunicare il messaggio che esistono ruoli per una grande varietà di persone, che è importante che la scienza venga praticata da tanti e tante.
Nello spettacolo si parla anche di donne che hanno gestito laboratori e grandi esperimenti, ma ancora oggi le scienziate in ruoli di responsabilità rimangono delle eccezioni. Nel rapporto ANVUR dello scorso anno, uno dei dati analizzati mostra che man mano che ci si avvicina ai ruoli di maggiore responsabilità, diminuiscono tantissimo le donne che accedono agli avanzamenti di carriera, a dispetto di un aumentato numero di iscritte alle facoltà scientifiche.

Dati Anvur 2023. Leggi il rapporto completo.
AC: Purtroppo i dati più recenti mostrano che tante delle misure per aumentare il flusso in ingresso nel mondo della ricerca non hanno séguito nelle fasi successive della carriera e quindi il problema non sembra risolversi. Ne è una testimonianza la domanda che viene rivolta solo a noi donne sul conciliare la vita e il lavoro: ancora oggi sembra un miracolo che una donna riesca ad avere un lavoro impegnativo, e questo è qualcosa su cui lavorare nella società, non soltanto nella scienza.
NP: Nello spettacolo appare chiaro anche il ruolo della famiglia, e soprattutto dei padri, che per queste donne è stato fondamentale fin dalla più tenera età, così come in seguito quello del compagno con cui si fa una scelta di vita comune.
Quali sono gli sviluppi futuri che immaginate per “La Forza Nascosta”?
ER: I prossimi appuntamenti sono previsti in occasione della Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, l’11 febbraio. Saremo il 6 febbraio a Taranto al Teatro Tarentum, il 7 al teatro Kursal di Bari e l’11 al Teatro Miela di Trieste.
Negli ultimi tempi, abbiamo intessuto relazioni con ambasciate e i consolati italiani all’estero, che ci hanno permesso di proporre lo spettacolo in contesti internazionali, dove l’accoglienza è stata ottima: lo spettacolo stupisce per le storie che racconta, il suono della nostra lingua molto apprezzato all’estero e la comprensione è garantita dai sottotitoli.
Il sogno è quello di andare negli Stati Uniti, per portare lo spettacolo nei luoghi dove le nostre scienziate hanno lavorato nei loro esperimenti.
Il titolo “La Forza Nascosta” racchiude dentro di sé tutti i significati dello spettacolo. È sempre stato questo, fin dall’inizio?
AC: È sempre stata la forza nascosta quella che volevamo esprimere, la forza nascosta delle donne, la forza nascosta della fisica, la forza nascosta della cooperazione, dell’interazione. Sono tutti concetti che ci sono venuti naturali e che grazie alle artiste siamo riusciti a esprimere in un modo che ci soddisfa e ci commuove ogni volta.
E questa forza nascosta è proprio quella che fa evolvere lo spettacolo, non soltanto nel momento in cui Elena e Fé sono sul palco, ma anche in tutti gli eventi satellite, nelle piccole conferenze, nei laboratori, negli scambi con il pubblico e con i ragazzi che arricchiscono la nostra performance.
“Incontri” è l’appuntamento editoriale di Collisioni.infn, dedicato al dialogo con i testimoni dello scambio interculturale tra la comunità scientifica, in particolare l’INFN, e il mondo culturale nel suo insieme.