“Se io ricordo con grande chiarezza un incidente qualsiasi, mi sposto al preciso istante in cui esso è accaduto: […] compio, cioè, per un momento, un balzo nel passato. Non possediamo i mezzi, certo, per restarvi durante un dato periodo di tempo, né più né meno che un selvaggio o un animale non hanno quelli di rimanere sollevati a più di un metro sulla superficie terrestre; ma un essere civilizzato […] può sollevarsi per mezzo di un pallone malgrado la forza di gravità. E perché dunque non potrebbe sperare di riuscire un giorno a fermare o accelerare la sua corsa lungo la dimensione tempo, o perfino a fare dietro front e viaggiare nella direzione opposta?”
[George Wells, La macchina del tempo]
Se l’universo a quattro dimensioni è per Calvino il teatro perfetto delle Cosmicomiche (vd. Geometrie sbagliate), qualche decennio prima George Wells si spinge nel regno nella fantascienza, immaginando un universo liberamente percorribile nel tempo come nello spazio. Una dimensione, quella temporale, che il viaggiatore de “La macchina del tempo” può esplorare grazie all’invenzione di un mezzo in grado di portarlo nel futuro. Dopo diverse incursioni nel futuro e altrettanti ritorni al presente, la ricerca di un tempo in cui l’umanità non sia ancora estinta e i problemi e gli enigmi che la agitano siano risolti spingerà il viaggiatore – lascia intendere il finale del libro – a riprendere la macchina del tempo e a vagare nel futuro, senza ritorno.
Wells pubblica il romanzo nel 1895. La teoria della Relatività Generale di Albert Einstein non è ancora stata concepita, e con essa l’idea, che oggi accettiamo come indiscutibile (anche se non proprio intuibile), di un universo a quattro dimensioni, nel quale le tre dimensioni spaziali si intrecciano con la quarta, il tempo. A oltre cento anni dalla formulazione della Relatività Generale, lo spaziotempo a quattro dimensioni è lo scenario indiscusso e consistente degli avvenimenti cosmici descritti da fisici e astrofisici. L’aspetto sorprendente è che l’intuizione che il tempo sia del tutto analogo alle tre dimensioni dello spazio sia stata di George Wells, uno scrittore di fantascienza, prima che di Einstein.
VIAGGI NEL TEMPO
Nella seconda metà dell’Ottocento, la domanda sulla natura del tempo è quanto mai attuale, resa emergente dal rapidissimo sviluppo tecnologico e industriale in atto, che ha accelerato il ritmo di vita delle persone, abbreviato la durata degli spostamenti e velocizzato le comunicazioni. Anche l’uso di strumenti di misura sempre più sensibili per l’indagine scientifica contribuisce a fare del tempo una realtà più tangibile ed esplorabile. Lo stesso viaggiatore di Wells per convincere gli amici che il tempo è solo una “specie di spazio”, e deve quindi essere percorribile avanti o indietro con la stessa facilità, riporta l’esempio della variazione temporale di una grandezza fisica, la pressione atmosferica:
“Le menti scientifiche sanno benissimo che il tempo è solo una specie di spazio. Eccovi un noto diagramma scientifico, un grafico delle condizioni atmosferiche. Questa linea che seguo col dito mostra il movimento del barometro […] Il mercurio, evidentemente, non ha tracciato questa linea in alcuna delle dimensioni dello spazio […] eppure l’ha tracciata, e possiamo perciò concludere che essa si è mossa lungo la dimensione tempo.”
[George Wells, La macchina del Tempo]
Non solo treni e barometri indicano a Wells la realtà della dimensione temporale. L’Ottocento è anche il secolo di Darwin e della ricostruzione teorica e sperimentale della storia della Terra e della vita con lo studio delle stratificazioni geologiche e fossili – una sorta di immagine congelata dei cambiamenti nel tempo di uno stesso ambiente – e dell’applicazione dell’archeologia alla composizione storico-culturale. È qualcosa che ci ha portato a cambiare scala temporale, a uscire dalla nostra dimensione quotidiana per osservare l’evoluzione della Terra lungo interi millenni.
LA QUARTA DIMENSIONE
Che cosa implica l’idea che il tempo abbia la stessa dignità dello spazio? Significa figurarsi un nuovo spazio quadrimensionale, lo spaziotempo, nel quale la posizione indichi non più un punto ma un evento (il “qui e ora”). Immaginare una realtà quadrimensionale è impossibile per noi che siamo immersi nella tridimensionalità: così come il personaggio di un fumetto è intrappolato nelle due dimensioni della superficie di un foglio, la nostra percezione non oltrepassa le tre dimensioni dello spazio.
Ma, come fa Wells quando interpreta i cambiamenti del mercurio di un barometro come uno movimento lungo la dimensione temporale, possiamo traslare un qualunque oggetto lungo la linea del tempo. Pensiamo, ad esempio, al parallelepipedo che si ottiene impilando le fotografie di uno stesso soggetto scattate in istanti successivi: la dimensione che va via via incrementando è proprio la linea temporale lungo cui si muove l’evoluzione dell’immagine.
Più difficile, se non impossibile, è immaginare la figura geometrica che si ottiene “muovendo” nel tempo un oggetto tridimensionale. Il solido che i matematici hanno ideato aggiungendo dimensioni alle tre di un cubo è l’ipercubo, una figura geometrica che in quattro dimensioni prende il nome di tesseratto e che sappiamo descrivere grazie ai suoi 16 vertici, 32 spigoli, 24 facce quadrate e 8 facce tridimensionali cubiche. Sappiamo che su ogni vertice del tesseratto incidono 4 spigoli, 6 facce quadrate e 4 facce cubiche. Del tesseratto, insomma, conosciamo ogni cosa, tranne la sua immagine esatta.
LA LUCE DELLE STELLE
Abbandoniamo per un attimo l’astratto tesseratto e immaginiamo che gli oggetti celesti, la terra, i pianeti, le stelle e le galassie, siano appiattiti, bidimensionali, e l’universo sia un cilindro – o un cono, tenendo conto della sua espansione – nelle due dimensioni dello spazio piatto e lungo il tempo. Come un fiume congelato di cui possiamo descrivere ogni istante sezionandone la figura al tempo che ci interessa, l’universo visto in questo modo non cambia nel tempo perché il tempo ne è parte, come ne sono parte le dimensioni dello spazio: è un continuum che contiene tutto ciò che è accaduto e tutto ciò che accadrà.
Questa rappresentazione non coincide con quella Einsteiniana, che oggi accettiamo. La Relatività Generale ci offre un’immagine meno rigida dell’universo: uno spaziotempo incurvato dalla gravità, nel quale la massa dei corpi detta legge anche sui nessi causali tra gli eventi (vd. Questione di massa). Nella rappresentazione semplificata che fa Wells, tuttavia, possiamo farci un’idea di che cosa sia un viaggio nel tempo. Figurarsi il viaggiatore che percorre l’universo congelato è come osservare la luce di una stella. La luce viaggia alla massima velocità possibile, ma pur sempre a una velocità finita. Una volta raggiunta la Terra, dopo centinaia di migliaia di anni, quella luce potrebbe essere l’ultima testimonianza di un corpo celeste che non esiste più, estinto da migliaia di anni. Il viaggio della luce non è dunque solo un viaggio attraverso lo spazio: è anche un viaggio nel tempo che riporta nel nostro presente l’immagine di un passato remoto.
IL TESTIMONE
Se l’universo immaginato da Wells sembra percorribile, in linea di principio, lungo la sua dimensione temporale, in tutto e per tutto indistinguibile dalle tre dimensioni spaziali, la nostra percezione soggettiva del tempo ha tutt’altro sapore. Un autore capace di rendere palpabile il peso del tempo che scorre e la sua ineluttabilità è Dino Buzzati. Passiamo quindi a lui il nostro testimone, lasciandogli il compito di rappresentare con la sua narrativa sospesa, il peso e la misura del tempo che, nell’attesa di una meta inarrivabile, può dirsi infinito.
«Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati […]. Credevo, alla partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno, invece, ho continuato a incontrare sempre nuove genti e paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei. Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera.»
[Dino Buzzati, I sette messaggeri]
Il romanzo “La Macchina del Tempo” di George Wells ha accompagnato, nella lettura di Maria Giulia Scarcella, l’evento curato dall’INFN, “Einstein aveva ragione. Di cosa parliamo quando parliamo di onde gravitazionali”. Ne sono protagonisti i fisici Fernando Ferroni, Antonio Masiero, Fulvio Ricci, Viviana Fafone. L’evento, condotto da Marco Cattaneo, si è tenuto a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, il 18 febbraio 2016, a una settimana dall’annuncio della scoperta delle onde gravitazionali da parte delle collaborazioni LIGO e VIRGO.
“Staffetta letteraria, tra scienza e narrativa” è l’appuntamento editoriale di Collisioni.infn, dedicato agli autori che, con estratti delle loro opere letterarie, hanno contribuito al racconto scientifico delle conferenze-spettacolo organizzate dall’INFN a partire dal 2011.