Da ottobre 2021 e fino al 27 febbraio 2022, è esposta a Roma, nelle sale di Palazzo delle Esposizioni, la mostra “Incertezza. Interpretare il presente, prevedere il futuro”, curata dall’INFN e inserita all’interno di un progetto di ampio respiro “Tre Stazioni per Arte-Scienza”, promosso da Roma Culture e ideato e organizzato da Azienda Speciale Palaexpo, con la collaborazione di numerose istituzioni pubbliche. Il progetto comprende altre due mostre, una di arte contemporanea, “Ti con zero”, e l’altra che segue una prospettiva storica, “La scienza di Roma. Passato, presente e futuro della città”, nell’ottica di instaurare un dialogo concreto tra la cultura artistica e storica e quella scientifica che sono entrambe parte fondante dell’identità di Roma.
Cesare Pietroiusti, presidente del CdA di Azienda Speciale Palaexpo, ci racconta come arte e scienza si intrecciano nel progetto “Tre Stazioni per Arte-Scienza” e che cosa di questa relazione ha ispirato la mostra “Incertezza” curata con l’INFN.
Su cosa si fonda il dialogo tra un ente di ricerca come l’INFN e un luogo deputato alla narrazione dell’arte come è Palazzo delle Esposizioni?
Il dialogo che è nato tra l’INFN e Palazzo delle Esposizione si fonda su un progetto di politica culturale formulato 4 o 5 anni fa dall’allora assessore alla cultura e vicesindaco di Roma, Luca Bergamo. L’obiettivo era quello di creare a Roma un polo per l’arte e la cultura del contemporaneo e del futuro, per dare impulso all’idea che Roma non sia soltanto la città storica dei Fori Imperiali e di San Pietro ma anche una città di grandi eccellenze della ricerca scientifica, sia storicamente sia nell’attualità. In questo progetto culturale, i due aspetti di Roma, le due culture, non dovevano restare disgiunte, l’una non doveva soppiantare l’altra, ma il tentativo era proprio quello di costruire un dialogo.
Da un punto di vista pratico, quest’idea è stata portata avanti cercando di mettere sotto il cappello di Palaexpo varie realtà che si occupassero di attività espositiva, formativa, di ricerca e di produzione artistica e culturale, e di scienza.
Per esempio, prima della pandemia, a Palazzo delle Esposizioni abbiamo prodotto la mostra “Sublimi Anatomie”, che ha visto tra gli altri il contributo dell’INFN e che cercava proprio di mettere insieme le due culture, anche attraverso il coinvolgimento di spettacoli di teatro, danza e disegno, per raccontare il tema del corpo umano, del suo studio e della storia di questo studio.
“Tre Stazioni per Arte-Scienza” è forse il punto di maggiore evidenza di questa strategia di politica culturale.
Pensa che la scienza e l’arte, le due culture, possano essere di ispirazione l’una per l’altra?
Credo di sì. Da artista le dico che per me la scienza è stata sempre di grande ispirazione, e non solo perché ho studiato medicina, e non belle arti, ma anche perché gli artisti più grandi con cui ho studiato, in particolare Sergio Lombardo, mi hanno sempre insegnato l’importanza del metodo. Con il tempo ho capito che il metodo – le regole, la grammatica e la sintassi di ogni linguaggio – va conosciuto e rispettato, in qualche modo amato, proprio per poterlo superare, giocarci fino all’esasperazione per svelarne i limiti e le criticità.
Un esempio presente nella mostra “Ti con zero” è l’opera di Roman Opałka. A poco più di 35 anni comincia a contare, dal numero 1 all’infinito, seguendo la sequenza dei numeri naturali. Mentre conta dipinge sulla tela ogni numero: bianco su nero. Ogni nuova tela aumenta un po’ la percentuale di bianco del fondo; da nero diventerà grigio e poi sempre più bianco. Esponeva le tele affiancate alle fotografie in bianco e nero di sé stesso che scattava alla fine di ogni tela: la sua figura, come la tela, tendeva al bianco man mano che passava il tempo.
Opałka ha preso la più semplice delle regole matematiche, che è anche alla base dei concetti di “prima” e “dopo”, di “causa” ed “effetto”, che rappresenta il tempo e la misura; ha seguito pedissequamente questa regola, fino a esasperarla, rendendola un’opera che si identifica con la sua stessa esistenza e che mette in discussione la regola stessa che l’ha prodotta. Spogliandola della sua funzione quotidiana, stirandola fino all’esagerazione, ne evidenzia il confine con l’assurdo.
Ha usato un rigore degno del più preciso e impeccabile scienziato e ha dimostrato che, purché la si rispetti, si può giocare con qualunque regola e arrivare a svelarne l’impotenza, i limiti rispetto al mistero e al fascino dell’esistenza. Per “giocare con le regole” non intendo “fare ciò che vogliamo”, ma al contrario voglio dire “seguirle così profondamente da metterle in discussione”.
Questo vale per tutti i linguaggi dell’arte: il grande artista realizza sempre opere che svelano le criticità del linguaggio che ha scelto, criticità che sono insite nelle arbitrarietà e nei limiti su cui quel linguaggio si basa e nelle dinamiche di dominio e di inganno che cela.
Dall’altra parte credo che anche gli artisti possano essere di ispirazione agli scienziati, perché insegnano sempre a lavorare sul bordo della disciplina, a immaginare le cose da punti di vista altri.
Il nome stesso del progetto, “Tre Stazioni per Arte-Scienza”, apre il dialogo tra i campi dell’arte e della scienza. Qual è l’idea sottesa a questa scelta?
Il nome è stato ispirato da una mostra che per me fu molto formativa. La visitai da ragazzo, nel ‘78, alla Biennale di Venezia e si chiamava “Sei stazioni per Artenatura”. Era legata a tematiche di ecologia e nel titolo metteva nell’unica parola “artenatura” i due concetti, come a tentare di mescolarli anche dal punto di vista lessicale. Ho pensato che questa stessa idea potesse essere usata per mettere insieme anche arte e scienza.
Il numero 3 è nato dal fatto che da varie suggestioni e proposte si sono coagulati questi tre approcci: la storia della scienza a Roma, il rapporto fra estetica e metodo scientifico, e l’incertezza all’interno della ricerca scientifica. Tre tematiche abbastanza diverse, ma elaborate attorno al terreno comune della ricerca, scientifica e artistica.
Per quanto riguarda la parola “stazioni”, mi sembrava interessante perché richiama diverse immagini. Ha la doppia connotazione di “sviluppo” e di “arresto”: da una parte c’è l’idea ottocentesca di stazione, simbolo del progresso, dell’avanzamento e anche della “conquista dell’ovest” dell’epopea americana; più tardi, nel ‘900, “stazione” rimanda a un’altra epopea, quella dei viaggi spaziali, della fantascienza, dell’esplorazione oltre l’atmosfera terrestre. Ma il termine “stazione” rappresenta anche la stasi, il punto di arresto: ci si ferma e si riflette per non andare troppo oltre.
Ma, ovviamente, il punto cruciale è l’idea di stazione come luogo di incontro e di scambio, in questo caso tra diverse discipline e diversi approcci.
All’interno del progetto, come si inseriscono questi tre approcci?
La mostra “La Scienza di Roma” cerca di raccontare come in varie discipline, dalla matematica alla fisica, dalla chimica alla paleontologia, Roma abbia rappresentato nei secoli un luogo di assoluto rilievo. Lo fa attraverso reperti storici provenienti dai musei scientifici della città che mostrano quanto la storia della scienza sia importante per Roma.
“Ti con zero”, sull’arte contemporanea, mostra come gli artisti si confrontano con le tematiche scientifiche – come l’ecologia, la misura, o la vita stessa – con un occhio attento a utilizzare gli stessi metodi e strumenti della ricerca e del ragionamento scientifici ma portandoli, d’altra parte, in territori spesso non esplorati dalla scienza.
“Incertezza”, la terza mostra, curata con l’INFN, racconta l’incertezza insita nella scienza inserendola all’interno del ragionamento scientifico stesso: nessuna scienza è perfetta e risolutiva, neanche la matematica o la fisica. Ma, anzi, più si va avanti nel perfezionamento delle misure, delle osservazioni, del dettaglio, e più si scoprono spazi in cui riemerge l’impossibilità di raggiungere la certezza.
Mettere insieme questi tre approcci non è stato facile, anche a livello spaziale all’interno del palazzo. Si è scelto di dividere in tre l’ambiente e di lavorare sull’allestimento per dare allo spettatore un senso di continuità visiva e concettuale. Il progetto dell’allestimento è stato affidato a un duo di artisti italiani, i Formafantasma, che sono tra i più bravi a livello internazionale. Abbiamo lavorato con loro per più di un anno e c’è stato un grande impegno anche a livello di risorse economiche, con l’obiettivo di unificare le mostre in un percorso concettuale con un’unica visione.
Le differenze restano evidenti, ma penso che possano soddisfare sia lo specialista del singolo campo sia lo spettatore che può esplorare diverse modalità narrative.
Pensa che il dialogo tra arte e scienza possa essere in qualche modo utile per interpretare la società?
Forse “interpretare” non è la parola giusta. Può essere sicuramente utile per aprire spazi critici di analisi. Anche se non ho mai creduto alle “soluzioni finali”, credo allo studio e alla pazienza dell’analisi e della critica: più usiamo il cervello e più funziona.
In un certo senso, il compito degli intellettuali, quindi sia degli artisti sia degli scienziati, è quello di resistere al presente, non nel senso di “frenare il movimento”, ma piuttosto nel senso di mettere costantemente in discussione ciò che accade, per non rischiare di farsi travolgere. Questo lo si fa esplorando il nuovo con un occhio attento al fatto che proprio la retorica del nuovo nasconde spesso una strategia di mercato ed è spesso un’espressione di dominio. Questa attenzione è una forma di resistenza che possono portare avanti artisti e scienziati e che può essere alimentata dal dialogo continuo tra questi due campi del sapere.
Quindi “interpretare la società” va inteso nel senso di svelare i meccanismi di dominio per non perdere mai gli “affetti gioiosi” di cui parlava Spinoza, ossia la naturale propensione degli esseri umani a gioire insieme, collettivamente, dei pensieri, dei sensi, delle scoperte e soprattutto della libertà di giocare con le regole, di cui parlavo prima. Direi che il compito del dialogo tra arte e scienza è quello di preservare questa possibilità.
Come pensa che questo dialogo possa svilupparsi nelle strategie future di Palaexpo e, in generale, della città di Roma?
È necessario innanzitutto che la visione di Roma come una città culturalmente orientata al futuro e non solo al passato, di cui parlavo all’inizio, sia sostenuto dalla nuova amministrazione.
Io credo che a Roma si debba affrontare la questione della divulgazione della storia e della contemporaneità della ricerca scientifica. Potrebbe risolversi con la creazione di un nuovo museo della scienza, a patto che questo museo non sia solo un luogo di raccolta di reperti, ma sia anche un “luogo delle muse”, dove molte discipline scientifiche e artistiche si trovano insieme non soltanto a contemplare il passato ma a creare qualcosa di nuovo. Il museo della scienza potrebbe essere un luogo di incontro tra scienziati e artisti per produrre nuova conoscenza. Non so se Palazzo delle Esposizioni sia lo spazio più adatto per questo, ma è una possibilità.
Le fotografie presenti in questo articolo sono state scattate durante l’inaugurazione delle tre mostre.
Credits:
Foto 1, 2, 3.1, 3.2: Tre Stazioni per Arte-Scienza, Palazzo delle Esposizioni 12 ottobre 2021 – 27 febbraio 2022. Foto M3 Studio ©️ 2021 Azienda Speciale Palaexpo
Foto 3.3: Maurizio Perciballi
“Incontri” è l’appuntamento editoriale di Collisioni.infn, dedicato al dialogo con i testimoni dello scambio interculturale tra la comunità scientifica, in particolare l’INFN, e il mondo culturale nel suo insieme.