“Mi bastò capire che lo spazio era fatto in questo modo per accorgermi che vi s’insaccavano certe cavità morbide e accoglienti come amache in cui io mi potevo ritrovare congiunto con Ursula H’x e dondolare insieme a lei mordendoci vicendevolmente per tutta la persona. Le proprietà dello spazio, infatti, erano tali che una parallela prendeva da una parte e una dall’altra […] finché ad un tratto le nostre due traiettorie riprendevano la loro andatura rettilinea e proseguivano ognuna per conto suo come se niente fosse stato.”
[Italo Calvino, Le Cosmicomiche – La forma dello spazio]
Quando Borges, ne L’Aleph (vd. Realtà Aumentate), attribuisce all’universo l’aggettivo “inconcepibile” racchiude in una sola parola le idee inafferrabili di dimensioni e distanze cosmiche, di complessità e completezza rispetto alla realtà a noi più familiare dei fenomeni terrestri. Ma c’è nel termine inconcepibile anche una nota di paradosso, di estraneità rispetto all’ordinario, di rottura degli schemi. Una dimensione che attraversa, sfiorandolo appena, l’ordine accettato e riconosciuto. Ed è qualcosa che rende l'”inconcepibile” di Borges in qualche modo affine al comico usato da Calvino per raccontare il cosmo nelle Cosmicomiche.
PARALLELE
Protagonista di tutte le cosmicomiche è Qfwfq che, come descritto dallo stesso Calvino, “ha l’età dell’universo” ma “non è detto che sia un uomo (può esserlo divenuto da che l’uomo esiste; ma per miliardi di anni non è che una, diciamo, potenzialità)”. Nel suo peregrinare nello spazio fin dal Big Bang, Qfwfq si trova coinvolto in tutte le fasi più salienti dell’evoluzione dell’universo. E dalla sua posizione di assoluto privilegio ha modo (e tempo) di riflettere sulla struttura e i meccanismi che regnano nel cosmo.
Nella cosmicomica “La forma dello spazio” tutti i personaggi, liberi nello spazio ma sufficientemente vicini a qualche oggetto celeste, si trovano a “cadere” alla stessa velocità lungo linee parallele. Se la condizione di abitanti della Terra ci impedisce di ammettere che due linee parallele possano incontrarsi, per Qfwfq le cose sono diverse. A lui, che non è un essere umano nell’accezione più comune, è permesso notare che le linee sono, sì rette, ma intrecciate come le linee di inchiostro di un testo in corsivo. L’improvvisa consapevolezza offre a Qfwfq l’occasione di sovrapporsi alla linea dell’amata, Ursula H’x, e appartarsi con lei in una nicchia dello spazio, anche solo per un attimo.
A proposito di spazio, la cornice scientifica di questo racconto, come anticipa l’introduzione stessa alla cosmicomica, è la Teoria della Relatività Generale di Einstein.
GEODETICHE
Ma partiamo dalla geometria. Perché quello della Relatività di Einstein è un interessante caso di rivoluzione nella fisica anticipata dai salti conoscitivi della matematica. Il quinto postulato di Euclide, uno dei cinque postulati della geometria che descrive con ottima approssimazione la realtà in cui siamo immersi, è chiamato “postulato delle parallele”. Ne ricordiamo probabilmente tutti il contenuto, almeno nella sua formulazione più semplice: per un punto P esterno a una retta r passa una unica parallela a r. Un fatto abbastanza intuibile. E infatti, il termine postulato indica un’affermazione prima, non deducibile da altre, data per vera perché indimostrabile e, in genere, tanto incontrovertibile da non richiedere ulteriori giustificazioni.
Va precisato tuttavia il contesto. La geometria euclidea che studiamo a scuola è la geometria dello spazio tridimensionale “piatto”, i cui enti primitivi sono il piano, la retta, il punto. Se volessimo traslare la stessa geometria dal piano a una superficie curva, sferica per esempio, ci renderemmo conto immediatamente che il quinto postulato non vale più. Su una sfera non possiamo costruire rette parallele. Su una sfera, a dire il vero non possiamo costruire rette, solo cerchi, “geodetiche”. Il percorso più breve tra due punti, che nel piano è un segmento, su una sfera è un arco di cerchio, il cui prolungamento all’infinito è, appunto, un cerchio (il cerchio massimo o, nello spazio tridimensionale “geodetica”).
DA EUCLIDE AD EINSTEIN
Dal 300 a.c ai primi decenni dell’800, il quinto postulato ha tormentato le notti di filosofi e scienziati. Sembrava infatti distinguersi dai primi quattro per la sua forma, più simile a quella di un enunciato dimostrabile, un teorema. Lo stesso Euclide non era persuaso che fosse davvero un postulato, che non fosse dimostrabile a partire dai primi quattro. E fu proprio questo dubbio a fare del quinto postulato un oggetto del desiderio per scienziati e filosofi, per diversi secoli, un misterioso portatore di visioni di geometrie e universi esotici. Sebbene nessuno osi mettere in dubbio la validità del quinto postulato basandosi sulla sola esperienza quotidiana, l’esistenza stessa delle geometrie non-euclidee si fonda sulla sua negazione.
Che il quinto postulato possa essere falsificato è una svolta per la matematica. Implica che la geometria euclidea non è l’unica geometria e che l’universo non ha la forma che è per noi la più plausibile. La straordinaria visione di Einstein prevede infatti che i raggi luminosi nello spazio non viaggino lungo traiettorie rettilinee, ma siano deviati dalla presenza dei corpi celesti. In questa descrizione, la gravità non è una forza che agisce a distanza tra i corpi, ma l’effetto della deformazione dello spazio causata dalla massa stessa dei corpi. Possiamo immaginare questa curvatura come la conca provocata da una biglia su un telo sospeso, e la gravità come l’effetto che questa curvatura avrebbe se appoggiassimo sul telo una seconda biglia.
COSMO COMICO
Che cosa c’è di comico in questa descrizione, più che altro disorientante, della struttura del cosmo? “Comico” per Calvino ha un significato che va ben al di là dell’immediato smarrimento di fronte alla stranezza: “Nell’uomo primitivo e nei classici il senso comico era l’atteggiamento più naturale; noi invece per affrontare le cose troppo grosse abbiamo bisogno d’uno schermo, d’un filtro, e questa è la funzione del comico” (Calvino, introduzione alle Cosmicomiche, Il Caffè, 1964). Calvino usa il tema scientifico per generare immagini che sollecitino un’inedita miscela di comportamenti umani, comica nel senso della lontananza dalla più comune esperienza, estranea ai canoni dell’abitudine. È qualcosa di diverso da quanto accade di solito con la fantascienza, che spinge alle estreme conseguenze premesse immaginarie.
IL TESTIMONE
Questa differenza nell’uso della costruzione scientifica paradossale ci traghetta dalla scienza “comica” di Calvino alla fantascienza di un illustre predecessore, George Wells. A segnare la continuità di questo passaggio di testimone è la stessa geometria “sbagliata” dello spazio, che ci ha condotto fin qui, con l’aggiunta di un ingrediente: il tempo. Chi non si è mai domandato, del resto, se sia possibile o no viaggiare nel tempo?
“La geometria […] che avete imparato a scuola si basa su una concezione sbagliata […]. Sapete senza dubbio che una linea matematica, una linea di spessore nihil, non esiste nella realtà […] E neppure un piano matematico esiste nella realtà: ambedue sono soltanto semplici astrazioni. […] Un cubo che non duri neppure un secondo può esistere nella realtà? È chiaro, – prosegui il Viaggiatore del Tempo […] – che ogni corpo reale deve estendersi in quattro dimensioni: deve avere cioè una lunghezza, un’altezza, una larghezza ... e una durata. […] Esistono in realtà quattro dimensioni: le tre che chiamiamo i tre piani dello spazio, e una quarta, cioè il tempo. […] non vi è differenza alcuna fra il tempo e una qualsiasi delle tre dimensioni dello spazio […] E perché dunque non potrebbe sperare di riuscire un giorno a fermare o accelerare la sua corsa lungo la dimensione tempo, o perfino a fare dietro front e viaggiare nella direzione opposta?”
[George Wells, La macchina del Tempo]
Il racconto “La forma dello spazio” di Italo Calvino ha accompagnato, nella lettura di Lella Costa, l’evento curato dall’INFN, “Space, time, gravity. Dialogo semiserio sull’universo”. Ne sono protagonisti i fisici Marica Branchesi, Fernando Ferroni, Antonio Zoccoli. Il dialogo si alterna alle letture condotte da Lella Costa, alla musica del pianista Umberto Petrin, alla narrazione visiva dell’illustratore Luca Ralli. L’evento, condotto da David Riondino, si è tenuto a Genova, al Teatro della Tosse, nell’ambito del Festival della Scienza, il 31 ottobre 2017, e il suo contenuto è un viaggio attraverso le idee di spazio, di tempo e gravità, particelle, onde gravitazionali e sorgenti cosmiche e le più recenti scoperte della fisica delle particelle.
“Staffetta letteraria, tra scienza e narrativa” è l’appuntamento editoriale di Collisioni.infn, dedicato agli autori che, con estratti delle loro opere letterarie, hanno contribuito al racconto scientifico delle conferenze-spettacolo organizzate dall’INFN a partire dal 2011.