Realtà aumentate

Francesca Scianitti
7 Luglio 2021
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Stefano Benni legge sul palco, sul reto la sua proiezione

L’ambizione di descrivere l’universo, l’idea di infinito, la cardinalità degli insiemi: nell’Aleph di Borges, letto da Stefano Benni per “Macchine per scoprire”.

“Vidi la circolazione del mio oscuro sangue, vidi il meccanismo dell’amore e la modificazione della morte, vidi l’Aleph, da tutti i punti, vidi nell’Aleph la terra e nella terra di nuovo l’Aleph e nell’Aleph la terra, vidi il mio volto e le mie viscere, vidi il tuo volto, e provai vertigini e piansi, poiché i miei occhi avevano visto l’oggetto segreto e supposto, il cui nome usurpano gli uomini, ma che nessun uomo ha contemplato: l’inconcepibile universo.”

[J.L. Borges “L’Aleph”]

Nel racconto che è probabilmente il più letto e conosciuto di Jorge Luis Borges, l’autore si confronta con l’ambizione di realizzare un’opera che sappia descrivere in modo unitario ed esaustivo tutto ciò che esiste. L’impresa, indubbiamente folle anche solo da immaginare, sembra possibile grazie a un oggetto custodito in una cantina, una piccola sfera, che promette di essere al tempo stesso contenitore e contenuto dell’intero universo: l’Aleph.  

CARDINALITÀ

“Aleph” è la prima lettera dell’alfabeto ebraico. Se accompagnato dal pedice “zero”, in matematica indica la cardinalità degli insiemi infiniti numerabili, quegli insiemi di cui possiamo elencare il contenuto enumerandone gli elementi. In generale, la cardinalità è una sorta di indicatore di “forza” degli insiemi infinti.

Ma come può un infinito essere più infinito di un altro? Pensiamo a due infiniti familiari: l’insieme dei numeri interi e l’insieme dei punti di una retta. Se è vero che tra due numeri interi contigui non ci sono altri interi, troviamo invece infiniti punti tra due punti di una retta, per quanto vicini. Siamo in grado di contare i numeri interi, anche se sappiamo che la conta è senza fine, ma non possiamo indicare in successione i punti di una retta. La cardinalità della retta (che i matematici chiamano “del continuo” o Aleph uno) è superiore a quella dell’insieme dei numeri interi (“del numerabile” o Aleph zero). Sebbene entrambi infiniti, i due insiemi sono infiniti di diverso grado.  

Nel tentativo di descrivere l'”inconcepibile universo”, Borges elenca oggetti, luoghi, tempi, situazioni, sensazioni, realtà coesistenti o contrapposte. Per farlo, usa la cadenza crescente di chi sa che l’elencazione è inesauribile e la complessità del contenuto inesprimibile. Borges ammette quindi che sia possibile conoscere l’universo, elencandone gli elementi, ma nega allo stesso tempo la possibilità di una conoscenza esaustiva, perché l’elencazione sarebbe senza fine. Ma c’è qualcosa in più. Non sappiamo, infatti se l’Aleph che dà il titolo al racconto sia un infinito numerabile o un continuo. Se l’Aleph fosse di tipo uno, continuo quindi, dovremmo ammettere che tra due elementi elencati in successione vi sia un ulteriore infinito che sfugge. 

SIMBOLI

A riprova dell’inaccessibilità dell’infinito rappresentato dall’Aleph, la descrizione che ne fa Borges è pervasa da un grande smarrimento. Come quello di colui che, svegliandosi da un sogno, ricordi l’immagine confusa di un oggetto mai visto prima, un’invenzione o un’idea. Con la sensazione che vi sia in quella costruzione astratta qualcosa di illuminante e risolutivo, di armonico, bello, geniale. In realtà, nessuno saprebbe descrivere quel sogno nella sua pienezza, non a parole, non disegnandolo, non elencandone le parti essenziali. Il patrimonio dei simboli di un sogno è distante dalla realtà non onirica, così com’è per Borges il ricordo dell’Aleph: “Comincia, qui, la mia disperazione di scrittore. Ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gl’interlocutori condividono; come trasmettere agli altri l’infinito Aleph, che la mia timorosa memoria a stento abbraccia?”. 

Fortunatamente, il linguaggio letterario conosce l’arte di tessere trame nascoste. Quando è efficace, sa trasportare chi legge oltre la dimensione reale, liberandolo dai riferimenti quotidiani, limitati e limitanti, e consegnandogli una prospettiva nuova. Forse ci aspettiamo proprio questo dalla letteratura, quando interpreta le idee della scienza. La composizione perfetta di parole che sappiano restituire l’immagine di un’idea astratta e dare il via a una percezione, come fa il sogno. Borges lo fa in cinquecento parole descrivendo l’Aleph in un viaggio che sembra percorrere tutti i tempi, gli spazi, le dimensioni possibili, ma anche la totalità delle immagini e delle sensazioni umane conosciute o conoscibili. 

IL TESTIMONE

Il potere di dare luogo a realtà aumentate, capaci di facilitare la percezione di idee estranee all’esperienza, accomuna forme letterarie anche molto distanti tra loro. Questo ci consente di passare il testimone letterario, senza correre il rischio di un salto troppo brusco, dalla poesia metafisica di Borges alla narrazione fantastica, spesso ironica, di Calvino: 

“Una notte osservavo come al solito il cielo col mio telescopio. Notai che da una galassia lontana cento milioni d’anni luce sporgeva un cartello. C’era scritto: ti ho visto. […] e siccome di lassù vedevano quello che succedeva qui con cento milioni d’anni di ritardo, il momento in cui mi avevano visto doveva risalire a duecento milioni d’anni fa. […] ero stato preso da un presentimento agghiacciante: proprio duecento milioni d’anni prima, né un giorno di più né un giorno di meno, m’era successo qualcosa che avevo sempre cercato di nascondere.”

[I. Calvino “Ti Con Zero”].

(vd. Geometrie sbagliate)

Il racconto “L’Aleph” di Jorge Luis Borges ha accompagnato, nella lettura di Stefano Benni, l’evento curato dall’INFN e dal CERN, “Macchine per Scoprire. Dal Bosone di Higgs alla Nuova Fisica”. Ne sono protagonisti i fisici Fabiola Gianotti, Fernando Ferroni, Guido Tonelli, Michelangelo Mangano, Sergio Bertolucci, Antonio Zoccoli, l’economista Massimo Florio. Il dialogo si alterna alle letture di Stefano Benni, alla musica del pianista Umberto Petrin, alla narrazione visiva dell’illustratore Luca Ralli. L’evento si è tenuto a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, il 14 aprile 2016, e il suo contenuto è una prospettiva aperta, a tutt’oggi, sul futuro della fisica delle particelle

“Staffetta letteraria, tra scienza e narrativa” è l’appuntamento editoriale di Collisioni.infn, dedicato agli autori che, con estratti delle loro opere letterarie, hanno contribuito al racconto scientifico delle conferenze-spettacolo organizzate dall’INFN a partire dal 2011.