
Non si può dire che i fisici siano carenti di immaginazione quando si tratta di dare nomi ai fenomeni. La meccanica quantistica è stata una fucina di termini evocativi fin dalle sue origini, quando è stata coniata l’espressione catastrofe ultravioletta per dare nome a un fenomeno nuovo e inatteso che ha di fatto spalancato le porte alla teoria quantistica. Questo termine descrive la previsione, derivante dalla fisica classica, secondo cui un corpo nero – un oggetto ideale che riemette tutta la radiazione che assorbe, ben approssimato nella realtà da oggetti caldi come una lampadina o una stella – dovrebbe emettere un’energia infinita quando la radiazione è riemessa ad alta frequenza (per questo la catastrofe è “ultravioletta”). Questo comportamento dello spettro di corpo nero (un’altra singolare associazione linguistica inventata dai fisici) previsto dalla teoria era in totale contrasto con i dati sperimentali. A risolvere questa incongruenza nel 1900 fu Max Planck, introducendo, seppur con riluttanza, la quantizzazione dell’energia scambiata tra materia e luce: il corpo nero, secondo Planck, emette energia non in modo continuo ma in pacchetti discreti, detti quanti.
Prendendo le mosse da questo lavoro, Albert Einstein riuscì a spiegare, qualche anno dopo, perché illuminando una piastra metallica, da questa si potevano estrarre elettroni in un modo che dipendeva dalla frequenza della luce incidente e non dalla sua intensità. Questo fenomeno, l’effetto fotoelettrico, non aveva spiegazione in fisica classica ed Einstein risolse il rebus descrivendo la luce come composta da corpuscoli – analoghi ai pacchetti di energia di Planck – poi chiamati fotoni, con un’energia proporzionale alla frequenza dell’onda classica. È a partire da questo lavoro che comincia ad affermarsi il concetto di dualismo onda-corpuscolo, secondo cui la luce – e in seguito anche la materia – esibisce una natura ondulatoria o corpuscolare a seconda del fenomeno osservato.
Un altro esempio di termine “creativo” coniato dalla meccanica quantistica è quello di collasso della funzione d’onda, un concetto centrale nell’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica. Con questa espressione ci si riferisce al fenomeno per cui, nel momento in cui si effettua una misura, uno solo tra i possibili stati sovrapposti descritti dalla funzione d’onda si concretizza.
Questi termini riflettono la difficoltà sempre crescente dei fisici di poter descrivere in termini ancorati al senso comune i fenomeni quantistici.